Ottselpaw – Un racconto che (non) parla di una cravatta rossa

Il nostro Ottselpaw torna a raccontarci una delle tante avventure del piccolo Tyler, impiegato questa volta come garzone di bottega da un rinomato sarto...

Il nostro Ottselpaw torna a raccontarci una delle tante avventure del piccolo Tyler, impiegato questa volta come garzone di bottega da un rinomato sarto.

Ancora una volta il cucciolo protagonista si trova a dover affrontare il mondo dei grandi, pieno di indecifrabili segreti e domande che a volte sarebbe meglio non fare. Oggetto dai tratti quasi magici, che guida il racconto, è la cravatta rossa che il ragazzo indossa come divisa.

Come in “Storia di una pancia” il piacere di leggere il racconto sta tutto nella grande bravura di Ottselpaw, che ci fa il mondo con gli occhi di un bambino consapevole, ingenuo ma attento a cogliere ogni minimo segno nella comunicazione coi sempre più misteriosi “grandi”, i quali sembrano non curarsi di lui ma al tempo stesso sono spaventati dalla sua curiosità di bambino, che mette a nudo ogni loro segreto.

Buona lettura!

Un racconto che (non) parla di una cravatta rossa

Dovreste vederlo, il vecchio Bart, quando vende un vestito. Prende le misure a occhio. Vede chi vuole comprarlo e già sa la taglia. Sa quanto dovrà accorciare il pantalone e se le maniche della giacca sono troppo lunghe. Mentre il signore prova il completo il signor Bart saltella da un angolo all’altro della bottega quasi con la grazia di un cucciolo: afferra due camicie e qualche cravatta, tutte di colori diversi. Mentre lo fa cerca di sorridere e non ci riesce: la bocca gli resta completamente dritta e gli occhi si chiudono un poco. A me sembra che fare quello che sta facendo gli ricordi qualcosa di molto bello e di molto triste. Appoggia camicie e cravatte sul banchetto e invita il signore a provare questa con quella. Il risultato è sempre uguale: una volta indossato tutto e messosi davanti allo specchio, il signore prima spalanca un po’ gli occhi, poi sorride. Dovrebbe essere un sorriso un po’ più grande, ma tutti cercano di trattenersi. Non so perché. Mentre il signore si guarda allo specchio, Bart se ne sta in ginocchio a risvoltargli i pantaloni e a infilare spilli da tutte le parti.

Quando è il signor Bart a vendere un completo, quel completo viene venduto sempre. Io a mettere gli spilli non sono bravo. Sono lento, e sia che entrino o che debbano uscire dalla stoffa mi pungono sempre le zampe. Ho tutte le zampe bucate. All’inizio mi bucavano così in profondità che usciva sempre un po’ di sangue, e nel prendere le misure per accorciarli, i pantaloni si sporcavano e Bart a vedere certe cose si arrabbia tanto e mi dice di andare a mettere in ordine, che a prendere le misure ci pensa lui. Il signor Bart secondo me non è cattivo, ma è davvero bravo a fingere di esserlo. Dico che secondo me non è cattivo perché è sempre gentile con tutti, però mi sgrida e mi molla tante botte quando sbaglio qualcosa. Certe volte lo fa anche davanti a quelli che entrano nel negozio, e quelli lì dicono che fa bene, perché ad oggi i cuccioli sono tutti viziati e buoni a nulla e che con le buone è difficile che imparino qualcosa. Mike ha imparato tutto, quindi sia lui che il signor Bart possono dirmi e farmi quello che vogliono, perché loro lavorano lì da anni e io solo da due settimane. Bill mi ha calciato dentro il negozio due settimane fa: il signor Bart gli ha chiesto se io ero Tyler e Bill gli ha risposto che io ero Tyler. Il signor Bart mi ha chiesto se io ero Tyler e io gli ho detto di sì. Non so perché il signor Bart non l’abbia chiesto prima a me. Bill se n’è andato dicendo qualcosa su dei soldi che gli sarebbero dovuti essere stati consegnati ogni mese. Il signor Bart non ha risposto. Il signor Bart mi ha chiesto quanti anni avevo e io gli ho risposto che non lo sapevo. Il signor Bart di solito porta uno smanicato (so che si chiama così perché lo vendiamo in bottega) tutto rosso perché la bottega è sua. Mi ha detto di togliermi di dosso la felpa e la sciarpa. Quando me le sono tolte mi ha dato una camicia azzurra, dei pantaloni neri e una cravatta rossa e mi ha detto che dopo essermi vestito potevo cominciare. Io gli ho detto che non mi sapevo mettere la cravatta e lui mi ha detto che di certo non mi avrebbe insegnato come si fa il nodo a una cravatta perché lui alla mia età oltre a sapersi annodare la cravatta sapeva fare anche tutti i lavori di sartoria. Io non lo so se è vero perché non so come faccia il signor Bart a sapere la mia età se non la so nemmeno io. Mike è più grande di me e il nodo alla cravatta se lo sa fare. La prima volta che mi sono messo la cravatta me la sono annodata come meglio potevo, cioè con il nodo più semplice del mondo. La gente che entrava in bottega e mi vedeva con la cravatta messa in quel modo mi guardava male, e appena Mike li vedeva guardarmi così gli si avvicinava e guardandomi con un sorriso dispettoso chiedeva se avevano bisogno di aiuto. Il nodo alla cravatta non me lo so ancora fare. Mike non vuole insegnarmi come si fa perché a differenza del signor Bart lui è cattivo sul serio. Fa di tutto per farmi fare brutta figura e quando non riesco ad aiutare chi entra in bottega lui arriva subito e dice alla persona che sto cercando di aiutare che la prossima volta è meglio se va prima da lui.

Mike conosce la bottega come le sue tasche. Sa come cercare quello di cui gli altri hanno bisogno e sa esattamente dove trovare quello che cerca, mentre io conosco bene solo pochi scaffali e appendini, e ho bisogno di un bel po’ di tempo prima di trovare quello che voglio far vedere a chi sto aiutando. Mike sa tutte le taglie e i numeri, conosce tutti i tessuti e i colori e non si buca le zampe con gli spilli quando prende le misure dei pantaloni. Mike è capace di stirarsi la sua camicia la mattina nel retro della bottega, ed è bella ordinata e senza pieghe tutti i giorni. La mia camicia è tutta stropicciata perché a stirarla non sono capace, e una volta alla settimana Bart se ne accorge, si tira le orecchie mentre mi guarda con addosso la mia camicia stropicciata e dice che non è possibile e me la stira lui, e quello è il giorno più bello della settimana.

Il signor Bart e Mike vanno d’accordo perché Mike è bravo a vendere i completi. Mike sorride quasi sempre quando fa vedere qualcosa a chi entra in bottega, e ci sono giorni in cui nel tardo pomeriggio arrivano dei signori (ce n’è sempre uno da solo, mai due insieme) e chiedono al signor Bart dov’è Mike, e si sa per certo che quel signore è entrato lì per comprare un vestito e vuole che sia Mike a prendere le misure e a fare tutto. Questi signori sono tutti scorbutici, non sono gentili neanche con il signor Bart, ma il signor Bart li conosce da tanto tempo e sa che entrano in bottega da tanti anni, quindi risponde con cortesia e chiama Mike. Ti aspetteresti che nel vedere questi signori Mike sia più felice che mai perché sono venuti lì apposta per lui, e lui sa per certo che il completo lo compreranno, ma appena Mike viene chiamato si fa tutto serio e saluta chi l’ha mandato a chiamare con una voce piatta e senza colori e si fa seguire dal signore fino all’angolo dei completi. Ne mostra uno o due, e di solito il secondo è quello giusto. Lo fa indossare, e mentre il signore si guarda allo specchio Mike lo ascolta parlare di cose che non gli interessano. Gli risponde a voce bassa: gli tira su le maniche, infila tre spilli, sistema i pantaloni e mentre aspetta che il signore finisca di guardarsi allo specchio tira fuori dal cassetto del banchetto il metro e se lo mette attorno al collo perché sa che dovrà prendere le misure per la camicia. I signori non dicono mai che prendono il completo, e dicono a Mike che ha sbagliato a fare due o tre cose. Poi si tolgono il completo e la camicia e Mike prende tutto in mano e si dirige verso il signor Bart alla cassa, e il signor Bart non alza mai gli occhi dalle carte su cui sta scrivendo. Mike può dormire a casa sua perché il signor Bart sa che il giorno dopo ci sarà di sicuro, mentre io sono costretto a dormire in bottega. Penso che abbiano paura che scappi se mi lasciano dormire fuori.

Finché non avrò imparato a lavorare bene in bottega sarà difficile che il lavoro mi piaccia, e dal momento che di soldi me ne danno pochi perché se li prende tutti Bill che gli ha trovato l’apprendista non è che di buoni motivi per restare ce ne siano tanti. La bottega è chiusa perché sono le otto di sera. Mike dice che si ferma a dormire in bottega anche lui perché stasera non ha voglia di tornare a casa. Bart lo guarda e sa perché. Io non lo so, ma tanto nessuno dei due vorrà dirmelo. Mangiamo carne bollita e purè di patate in silenzio, dopodiché il signor Bart beve due bicchieri di vino rosso e ci chiude dentro la bottega. È giugno, e fuori non è ancora completamente buio. Nel retrobottega ci sono due letti. Io mi stendo sul mio e Mike si arrotola un po’ di paglia in un pezzo di carta per farsi una sigaretta. Se la accende con un fiammifero che trova in un cassetto e se la fuma in fretta. Nessuno dei due parla. Mentre Mike si fuma la sua sigaretta io tiro fuori da sotto il materasso il mio giornale di bordo cercando di non farmi vedere e comincio a scriverci tutto quello che mi passa per la testa. Mike si butta sul suo letto su un fianco, dandomi le spalle. Io metto via il mio giornale di bordo e aspetto che Mike si addormenti, perché so che finché c’è qualcun altro che dorme insieme a me io non riuscirò mai ad addormentarmi per primo. Passano cinque minuti e Mike non si muove. Provo a chiamarlo: – Mike? Cosa vuoi? -Stai dormendo? -No. Stai zitto.

Mike mi dice sempre di stare zitto. Me lo ha detto tante di quelle volte che ormai non ci faccio più caso. – Perché non sei voluto tornare a casa? – Non sono affari tuoi. Ti ho detto di stare zitto. – Non vuoi tornare a casa perché tua mamma ti picchia? A quel punto Mike si volta di scatto verso di me con gli occhi spalancati. Si alza, si avvicina al mio letto e mi molla un pugno sul naso. Io mi metto a piangere e dal mio naso esce sangue. Mike mi prende per il colletto della camicia e mi dice che quello che dicono i ragazzini per strada non è vero e che io sono solo uno scemo. Poi ritorna al suo letto. Io dopo un po’ mi calmo e comincio a prendere sonno, ma nel buio sento Mike piangere. Accendo una luce piccola sul comodino. Mi alzo e mi siedo sul letto di Mike e lo guardo piangere. È la prima volta che lo vedo piangere. Gli dico che a me hanno picchiato più volte che a lui e che sono anche più piccolo. Mike continua a piangere. Io ritorno al mio letto, ma proprio quando sto per addormentarmi sento Mike accendere l’interruttore e la luce mi punge gli occhi per qualche istante. Mike si siede sul mio letto e mi dice di sedermi. Io mi siedo e lo guardo. Ha gli occhi tutti rossi. Mi snoda la cravatta velocemente e poi me la fa scorrere sotto il colletto della camicia: – Guarda bene, perché te lo faccio vedere una sola volta come si fa. Io lo guardo annodare e non capisco come fa. La cravatta ora è messa proprio bene. Guardo Mike con un sorriso gigantesco. Lui mi guarda imbronciato. Fa per aprire bocca ma poi ci ripensa. Si alza e torna al suo letto. Io mi stendo sul mio, spengo la luce e spero di riuscire a stare immobile tutta la notte così domattina mi sveglio con la cravatta annodata come lo è adesso.

– Tyler

Tyler

Ottselpaw, conosciuto anche come Tyler, è un cagnaccio padovano studente di discipline delle arti, della musica e dello spettacolo. Attivo nel fandom dal 2012, cultore del mondo toon e feticista delle scene tristi nei cartoni animati, scrive racconti sul suo personaggio, un cucciolo orfano che suona un tin whistle

Revisionato da FurryDen previo consenso dell’autore.